Quando si parla di render in architettura, e quindi di visualizzazione architettonica – o archviz -, si fa inevitabilmente riferimento a quel che è la teoria della comunicazione visiva della nostra idea di progetto.
Ed è proprio in termini di giusta comunicazione che dobbiamo ragionare quando ci approcciamo alla realizzazione di un render in architettura: ogni inquadratura o, più in generale, ogni elaborato è fatto per comunicare qualcosa a chi lo osserva.
Per poterci riuscire bisogna staccarsi momentaneamente dalla sfera “tecnica” dell’idea che stiamo trattando, spostando il nostro focus da un’altra parte ed osservare il progetto con un altro punto di vista.
La comunicazione, come per molte altre cose nella realtà che ci circonda, è governata da linguaggi, principi e regole ben precise.
In questo articolo ti voglio parlare proprio di questo: di quali sono questi potenti principi e come con essi riusciamo a veicolare meglio l’informazione da comunicare all’osservatore.
La percezione visiva è il terreno di gioco
Siamo tutti d’accordo se affermassi che la vista è il più importante tra i nostri sensi?
La percezione della realtà, e quindi tutto ciò che ne deriva a livello comportamentale e decisionale, si stima che derivi per oltre il 60% dalla nostra vista.
La vista è quella funzione che ci permette di interpretare le forme, le geometrie, i colori, le distanze ed i movimenti.
Ovviamente tutto il processo è davvero complesso e molto affascinante, e non voglio parlarne ora, ma la cosa fondamentale da capire è che attraverso i nostri occhi, estrapoliamo dalla realtà una serie di informazioni enormi.
Spetta poi al nostro cervello decodificarle ed elaborarle per un determinato scopo.
Infatti la visione è definibile come un processo attivo: ogni immagine impressa sulla retina, viene decodificata e “decriptata” in una frazione infinitesima di secondo dalla nostra corteccia visiva, in modo da estrapolare dei dati ben precisi in base alla circostanza. E questo accade anche con i nostri render in architettura.
Così facendo, il nostro cervello è in grado di discretizzare informazioni diverse in base alle richieste da elaborate ed effettuare correlazioni o operazioni, compreso l’elaborazione di una scelta o suscitare un emozione.
Vuoi un esempio?
Poniamo il caso che sei in gelateria: “vuoi gusto pistacchio o cioccolato?”
Senza poter utilizzare il senso del gusto e quindi assaggiare tutti i gelati davanti a te (anche se io lo farei molto volentieri eheheh), come faresti a capire cosa guardare e quindi scegliere?
Capisci bene che, in una situazione di questo tipo, avere la percezione del colore gioca a nostro vantaggio: quindi, di fronte la scelta del gusto cioccolato o pistacchio, il nostro cervello automaticamente va ricercare il colore marrone o il verde all’interno della “pallette” dei gelati di fronte a te.
Cos’altro ci aiuta nella scelta – oltre al gusto personale- ?
La disposizione ordinata, chiara e lineare di quelle vaschette con i vari gusti di gelato di fronte a te.
Grazie alla percezione attiva dei tuoi occhi, il cervello fa compiere inconsciamente una vera e propria scansione rapida degli oggetti che hai davanti, fino a che non percepisce l’informazione ricercata – il colore del gusto di gelato che preferisci- , quindi effettuare la scelta e caso mai fartela anche indicare col dito indice.
Non entro nel merito del processo di selezione e delle preferenze, ma quello di cui voglio parlare è di come agevolare il cervello dell’osservatore in tale processo stimolando la vista nel giusto modo, attraverso i principi di ordine visivo.
Nello stesso modo in cui uno Chef studia i suoi piatti per creare armonia di sapori e quindi le giuste sensazioni in chi lo assapora, così ogni 3D Artist o “renderista” -odio questo termine- dovrà comporarsi con i propri render in architettura.
Per arrivare alla giusta armonia, non bisogna affidarsi solamente all’esperienza…altrimenti sarebbe impossibile per chi è agli inizi, ma ci sono 7 semplici principi da poter seguire per migliorare il tuo processo di visualizzazione fin da subito.
Ed in questo articolo voglio parlarti proprio di questo: di 7 semplici principi per migliorare l’ordine visivo dei tuoi render in architettura.
Render in architettura: l'utilità di questi principi
Come ti ho accennato in precedenza, i principi di ordinamento visivo sono delle regole di base attraverso il quale aiutare i nostri occhi e la successiva elaborazione da parte del nostro cervello.
La cosa che non ti ho accennato prima è che i nostri occhi, e quindi il nostro cervello, amano l’elaborazione di informazioni semplici, di pattern ripetitivi e/o lineari.
Un esempio per chiarire.
Che forma ha il fuoco? Ed una cascata o un’ onda marina?
Sono domande a cui è davvero difficile rispondere su due piedi ed in modo semplice e diretto.
Questo accade perché il nostro cervello fa fatica a semplificare delle geometrie tanto complesse e non riconducibili ad alcuna geometria semplice.
Un tale sovraccarico di informazioni in termini di geometrie, e quindi di elaborazione, porta il nostro cervello ad uno stato di “affaticamento”.
Ecco, questo affaticamento è esattamente quella sensazione che vogliamo evitare all’osservatore.
A questo servono i principi di ordinamento: semplificare il passaggio di informazioni al nostro osservatore, contribuendo alla percezione di forme, colori, spazi di un ambiente o della coesistenza del nostro edificio con l’ambiente circostante.
I principi di ordine visivo
Abbiamo sentito spesso affermare che l’ architettura “è un fatto d’arte“.
Ma cosa vuol dire effettivamente?
Significa che lo sviluppo di un’ idea in ambito architettonico è frutto principalmente di un processo creativo che, soprattutto nelle fasi iniziali, va ad interagire col potere di immaginazione del creatore e con la sua capacità di plasmare le idee in qualcosa di concreto e funzionale.
Questi principi servono ad agevolare appunto tali capacità, sia dal lato del creatore che dal lato dell’osservatore.
Così facendo sarà possibile fare ordine mentale e visivo, veicolando in maniera più chiara il messaggio, e rendere più semplice la comprensione dell’idea di progetto nella sua forma, colore e relazione col contesto.
Ma bando alle ciance e vediamo insieme quali sono questi principi:
- Asse
- Simmetria
- Gerarchia
- Modulo
- Ritmo
- Trasformazione
Andiamo più nel dettaglio
Vediamo ora di dare un pochino più di contesto e analizzare brevemente ognuno di questi principi.
Asse
Quando ti parlo di “asse”, faccio riferimento tendenzialmente ad una linea stabilita tra due punti disposti nello spazio.
Questi punti di riferimento potrebbero coincidere con punti focali, elementi di pregio o comunque di rilevanza all’interno dell’ambiente o della scena.
Altro esempio di asse è dato dai bordi di elementi o volumi rilevanti.
Perché è importante utilizzare gli assi?
Perché offrono la possibilità di organizzare le forme, gli spazi o gli elementi di scena disponendole in modo simmetrico ed equilibrato, ed oltretutto l’asse guida l’occhio in maniera del tutto naturale durante l’osservazione.
Simmetria
Credo che non servano tante parole per definire il concetto di simmetria.
Nel caso della composizione architettonica o visiva, il concetto di simmetria è davvero potente quando si cerca di dare una distribuzione o disposizione equilibrata alle forme, andandole a posizionare sui lati opposti di una linea di riferimento -tendenzialmente centrale- come un piano, centro focale, oppure un asse.
E’ probabilmente uno dei principi più potenti in termini di visualizzazione, e viene applicato spesso in scenari urbani.
Bisogna notare, soprattutto in fase di modellazione, che la simmetria vera e propria è riconducibile principalmente a scenari e ambientazioni artificiali, pertanto è difficile applicarla a scenari principalmente naturali…a patto che non si usi tale principio per bilanciare la composizione dell’immagine da realizzare.
Ci sono due tipi di simmetria: bilaterale e radiale.
- Si parla di simmetria bilaterale quando si fa riferimento ad una disposizione degli elementi in maniera equivalente sui lati opposti rispetto ad un asse.
- Si parla invece di simmetria radiale quando si fa riferimento alla disposizione ordinata degli elementi lungo dei “raggi” che si diramano da un centro.
Riassumendo, è uno dei principi di ordine visivo più potenti, ma che va utilizzato con cautela.
Gerarchia
Già solo nominando questo termine, possiamo intuire che si fa riferimento ad un vero e proprio mondo.
Quando si parla infatti di gerarchia, si fa riferimento a tutta una teoria della comunicazione che rimanda alla “psicologia della forma” (Gestaltpsychologie per essere precisi) teorizzata agli inizi del 1900 in Germania.
Questo è un principio che permette di organizzare il contenuto, sia in termini volumetrici e formali che in termini cromatici, secondo un ordine di lettura o rilevanza dello spazio, conferendo appunto una gerarchia di importanza.
Ovviamente si fa riferimento al concetto di priorità, ossia dare principale importanza ad un soggetto/elemento rispetto ad altri.
Occhio però: probabilmente starai pensando che per dare importanza ad un soggetto, basta metterlo in primo piano.
Ecco, non è propriamente così.
O meglio, non sempre.
Può capitare che il primo elemento in scena non sia l’elemento più importante, ma che possa avere la funzione di facilitare la comprensione del resto e guidare quindi la visualizzazione in modo da semplificare la comprensione della scena, dando un senso di dinamicità.
Un esempio per il render in architettura può essere quello di posizionare della vegetazione fuori fuoco in primo piano, invitando quindi l’osservatore a guardare il secondo livello della scena.
Il caso più comune resta comunque quello di mettere in evidenza l’oggetto o il volume principale in risalto, dandogli maggior evidenza rispetto al resto: questo permette di concentrare lo sguardo su di un punto o un elemento ben preciso, non facendo distogliere lo sguardo dell’osservato verso un livello successivo. Va da sé che l’immagine risulterà essere più statica ma più chiara e comprensibile.
Modulo
Questo principio compositivo è, essendo fanatico della regolarità, uno dei miei preferiti.
Con il termine modulo faccio riferimento a elementi compositivi o di scena determinanti: mi riferisco ad una linea, un piano o un volume che sono fondamentali per la definizione della continuità visiva o della regolarità della composizione.
Il modulo non è nient’altro che quella minima unità che permette al nostro cervello di raccogliere al volo la “dimensionalità” di ciò che si sta guardando. E per un render in architettura questo è di fondamentale importanza.
È appunto tramite il modulo che si agevola l’elaborazione in termini di misurazione e organizzazione della forma o dello spazio.
Un piccolo consiglio: la modularità della scena o dello spazio architettonico può essere enfatizzata con gli elementi di design oppure oggetti di scena. Tienilo a mente.
Il concetto di modulo, anche se non è regola fissa, può andare a braccetto col prossimo principio di ordine visivo.
Ritmo
Esatto, sto parlando di quel concetto di ritmo che solitamente viene associato alla sfera musicale e, ancor più in generale, al senso dell’udito.
Le nostre orecchie infatti sono solite individuare, nel caos che ci circonda, una determinata sequenza di suoni distinguendone l’andamento e la ciclicità della sua successione: per intenderci un po’ come quando, in piena notte, senti il rumore del rubinetto che perde quella gocciolina ogni tot secondi.
Il tuo orecchio ne percepisce il suono ed il tuo cervello, elaborandone la ciclicità, attiva un “allert”, attirando la tua attenzione…e facendoti passare il sonno.
Un po’ come quello musicale, il ritmo nella modellazione e nella visualizzazione architettonica non è nient’altro che il concetto di ripetizione del modulo messo in pratica.
Oltretutto il concetto di ritmo lo troviamo un po’ ovunque attorno a noi e per questo ci risulta molto utile e familiare: le foglie degli alberi, oppure i petali di un fiore. Altri elementi, in chiave architettonica, ritroviamo un ritmo nelle scalinate oppure nei fantastici colonnati oppure, ancora, nella ripetizione dei lampioni stradali. Insomma, ci sono una marea di esempi.
Ma torniamo all’esempio della scalinata: il ritmo è definito dai singoli gradini, che solitamente hanno dimensioni identiche e quindi costituiscono il nostro modulo.
In alcuni casi, invece, il ritmo è dato dall’alternarsi di elementi piccoli e grandi oppure dalla crescita o decrescita del modulo, oppure ancora dalla variazione cromatica.
Insomma, una qualsiasi sequenza di moduli ben strutturati a livello visivo, e ripetuti nello spazio, vanno a formare un ritmo.
Bisogna notare che di ritmo non ce n’è uno solo, ma ne troviamo tendenzialmente di 4 diversi tipi:
- Ritmo regolare (o lineare): come si intuisce, è il ritmo dato da elementi tutti uguali a livello di forma, colore e distanza. Ovviamente è il più semplice da realizzare e anche da percepire, oltre che il più usato per richiamare il concetto di ripetizione.
- Ritmo lineare alternato: a differenza di quello lineare il ritmo alternato costituisce la ripetizione alternata di un doppio modulo, con una sequenza A-B-A-B. Anche in questo caso è un tipo di ritmo facile da ricreare: basta alternare il modulo in termini cromatici oppure volumetrici (pieni-vuoti).
- Ritmo progressivo: anche qui il concetto è molto semplice, oltre al concetto di ripetitività, viene impiegato il concetto di crescita o decrescita progressiva del modulo. Può essere dato da una scala cromatica oppure dalla variazione di sezione degli elementi.
- Ritmo fluido: è uno schema meno rigido dei precedenti, e può non prevedere l’utilizzo dello stesso modulo ripetuto. Ciò che conta in questo caso è il senso di continuità che, pur in presenza di una variazione del modulo, cattura l’attenzione dell’osservatore.
Trasformazione
Come la definizione di luce non può esistere senza il concetto di buio, così il concetto di trasformazione non può esistere senza prima aver definito il ritmo.
Ebbene sì, la trasformazione non è nient’altro che l’opposizione al ritmo.
E’ uno dei principi di ordine visivo più controversi e difficile da usare perché, quando correttamente applicato, va ad interrompere la continuità visiva, dando risalto all’elemento oppure facendo spiccare il soggetto in questione. Applicandolo in maniera errata, invece, si crea disturbo, fastidio, e sbilanciamento.
Il suo punto di forza è proprio questo: interrompendo lo schema rigido della ripetizione, si va a creare uno stimolo “inaspettato” per il cervello, quindi il focus dell’osservatore viene automaticamente attirato sull’elemento differenziante, facendolo risaltare.
Bisogna però notare che la trasformazione del ritmo si applica in contesti ben precisi, e non a caso: c’è bisogno di un motivo specifico e di determinate condizioni, che possono essere scelte compositive o stilistiche specifiche.
In conclusione
Per applicare correttamente i principi di ordine visivo c’è bisogno di tanta pratica, ed una buona dose di creatività.
D’altronde, come detto in precedenza, l’ “architettura è un fatto d’arte”….e creare un ottimo render architettonico, oltre che per una parte di visione artistica, è un fatto di tecnica.
Ma sia per il progettista che per il “renderista”, la vera vittoria sta nel creare equilibrio nell’uso di questi principi, facendo leva sulla dinamicità e sulla varietà delle nostre scene.
Oltretutto viviamo in un’ epoca in cui tutto si evolve in continuazione, e focalizzarsi sull’utilizzo di una sola tecnica rappresentativa vorrebbe dire tapparsi le ali e questo non può affatto accadere per chi fa render in architettura!
Per questo motivo ecco il mio consiglio finale: prova a giocare con i principi di ordine visivo nei tuoi modelli 3D, sperimenta, gioca, divertiti e sii audace!
Spero che questa breve guida ti sia stata utile, e nel caso avessi domande oppure non è chiaro qualcosa, sentiti libero di commentare qui in basso oppure di contattarmi via mail o sul mio profilo Instagram o Facebook.
Un saluto,
Andrea.